Un gioco!

Facciamo un gioco. Leggiamo qualche riga di narrativa in versione italiana e inglese. Sarà facile riconoscere qual è l’originale? E confrontando le due versioni, impareremo qualcosa di più su questo scrittore, o addirittura sulla letteratura in generale? Ecco l’italiano.

Pensò a quella volta che era a Costantinopoli, da solo, perché a Parigi avevano litigato prima della sua partenza. Non aveva fatto altro che andare a donne e poi, quando era finita, e non ce l’aveva fatta a scacciare la solitudine, ma era solo riuscito a peggiorare le cose, le aveva scritto, alla prima, a quella che lo aveva lasciato, una lettera in cui le spiegava che non era mai riuscito a dimenticarla… che quando, un giorno, aveva creduto di vederla davanti al Regence si era quasi sentito venir meno, e che seguiva tutte le donne che in qualche modo somigliavano a lei, lungo il boulevard, con la paura di dover constatare che non era lei, con la paura di non provare più la sensazione che gli dava tutto ciò. Che tutte le donne con cui era andato a letto gli avevano solo fatto sentire di più la sua mancanza.

Quante donne! Il protagonista si ricorda di quando aveva rotto con la sua donna a Parigi per poi cercare, a Costantinopoli, di riempire il vuoto affettivo con una promiscuità sfrenata. Non ce la fa e così scrive una lettera a una ex che, però, non sembra essere la donna di Parigi, che lui aveva lasciato, ma un’altra che aveva lasciato lui. Quella della prima frase allora non era la prima, solo la prima del periodo promiscuo. Se davvero era una donna. Effettivamente il testo non ce lo dice. C’è un po’ di confusione. Anzi, è teoricamente possibile che quel ‘sua partenza’ si riferisca alla partenza/abbandono di lei (o anche di un altro lui), e che lui (il protagonista) sia partito per Costantinopoli solo dopo.
Chissà?
Comunque, anche questa prima, primissima, tra le ex, a cui adesso scrive, abitava a Parigi, o almeno in Francia, perché il protagonista racconta di averla cercata davanti al Regence e lungo il boulevard. Nel frattempo abbiamo totalmente perso il contatto con l’esotica Costantinopoli e le sue donne più numerose e disponibili, forse perché ogni luogo, ogni esperienza, non fa altro che intensificare il ricordo del punto di partenza.
Lo stile paratattico e cumulativo (che … che … che… la paura … la paura) fa di tutto per aumentare l’eccitazione dello stato emotivo, insieme intenso e disorientato. Vediamo l’inglese.


He thought about alone in Constantinople, that time, having quarrelled in Paris before he had gone out. He had whored the whole time and then, when that was over, and he had failed to kill his loneliness, but only made it worse, he had written her, the first one, the one who left him, a letter telling her how he had never been able to kill it…. How when he thought he saw her outside the Regence one time it made him go all faint and sick inside, and that he would follow a woman who looked like her in some way, along the Boulevard, afraid to see it was not she, afraid to lose the feeling it gave him. How every one he had slept with had only made him miss her more.

L’inglese è più o meno disorientante? Dalla prima frase capiamo che effettivamente è stato lui, il protagonista, a lasciare dopo il litigio, non lei (se di una lei si tratta). Solo che, invece di ‘partenza’ abbiamo ‘gone out’, cioè: ‘prima che lui fosse uscito’. Questo è stranissimo perché scioglie il nesso logico tra il litigio e la partenza per Costantinopoli. Avevano litigato e lui è uscito (al bar?), ma non sappiamo se sia stato allora che è partito per la Turchia. Una fonte di confusione è stata tolta ma un’altra, più grave, viene aggiunta.
C’è, poi, qualcosa di ancora più spiazzante in questa prima frase dell’inglese: la posizione della parola ‘alone’ – ‘he thought about alone in Constantinople’ (letteralmente: ‘Pensò di da solo a Costantinopoli’). Questo è un errore grammaticale bello e grosso. Non si può. Dopo ‘thought about’ ci vuole un sostantivo, un gerundio, un pronome – he thought about sex, he thought about making love, he thought about her. Allora l’inglese è una brutta traduzione fatta da un incompetente totale e con la complicità di un editore così pigro da non controllare nulla?
O invece è geniale? Cosa potrebbe essere più disorientante, più carico di significato, della rottura della trasmissione linguistica intorno alla parola ‘alone’? Quando sei ‘alone’ non importa più se fai errori grammaticali, dato che ormai parli solo con te stesso.
Le differenze tra i due testi sono tante, ma tre in particolare confermano che quel ‘alone’ era intenzionale, e che siamo davanti a un inglese costruito con grande cura. Il ritmo, l’allitterazione e la brutalità di ‘whored the whole time’ sono troppo efficaci per essere una traduzione di ‘non aveva fatto altro che andare a donne’, che pure significa la stessa cosa. Poi, l’uso ripetuto di ‘kill’ è decisivo (‘he had failed to kill his loneliness … he had never been able to kill it’). In italiano abbiamo: ‘non ce l’aveva fatta a scacciare la solitudine … non era mai riuscito a dimenticarla…’ che suona più sentimentale e convenzionale. Ma il nostro protagonista vuole proprio ammazzare quel sentimento.
Infine c’è il ritmo selvaggio e pesantemente monosillabico di ‘made him go all faint and sick inside’ e poi ancora: ‘How every one he had slept with had only made him miss her more’. Se la confusione semantica disorienta, il ritmo trascina e ci fa sentire l’ossessività di una passione non voluta. L’italiano è più che scorrevole, ma meno trascinante.
Hemingway. The Snows of Kilimanjaro. Un romanticismo malato e stanco che vuole liberarsi del sentimento, e anche della bella prosa, che gode però il dramma del proprio disagio, e che mette a fuoco, con l’uso anomalo, e per il lettore inglese scioccante, della parola ‘alone’, la tensione tra individuo e lingua pubblica che ha ispirato tanta letteratura del Novecento.
La traduzione italiana di Vincenzo Mantovani non è per niente male, cerca di ricreare gli effetti disorientanti del testo, ma la lingua rimane indenne, e la brutalità è smorzata.